lunedì 15 febbraio 2016

Le città innominabili

(Premessa 1). In genere pubblico pezzi simili sotto il titolo «on demand»; stavolta ne impiego uno diverso perché aggiungerò molto altro a ciò che mi è stato richiesto. (Premessa 2). Tratterò di materiali usciti su Facebook e come molti sanno, io ignoro quell’ambiente e rischio perciò di prendere più di un abbaglio.
Vado al sodo. Il nostro assessore ai Lavori pubblici (Antonio Di Fabio) ha sbagliato nel pubblicare in rete alcune frasi volgari; non solo, egli avrebbe fatto bene a scusarsi con la cittadinanza, di là della disinvoltura sfoggiata dalla giunta comunale in tale frangente: è stata inviata un’immagine non certo positiva d’Avezzano agli occhi degli italiani. (Questo blog è frequentato per un terzo da persone che vivono immerse nella cultura anglo-americana e perciò, chiedo a chi s’è offesa/o: perché non avete chiesto a chi compete la rimozione immediata dei contenuti ritenuti infamanti? Perché non avete denunciato l’assessore alla magistratura? Il tempo per le condanne politiche, i comunicati, l’indignazione, le lucide analisi sociologiche e le questioni di metodo, abbonda sempre nei Paesi del Mediterraneo).
Passo ora all’abbondante resto. Ho seguito la vicenda di cui è stato protagonista Antonio Di Fabio nel web; venerdì 12 febbraio 2016 mi è capitato di osservare – nell’edizione cartacea del Centro – accanto a quelli «incriminati», la schermata di un post almeno peggiore pubblicato invece dal primo cittadino di Tagliacozzo – ancora su Facebook. Lo spazio dedicato dalla politica e di conseguenza dall’informazione locale ai due post è stato inversamente proporzionale alla loro gravità.
Le nostre testate locali online pubblicano – spesso e volentieri –, foto di quattro-cinque buste di plastica gonfie di rsu e abbandonate nel territorio d’Avezzano, mentre cadono dalle nuvole quando si rileva la nuova dimensione della maggior discarica abusiva del comprensorio nel territorio dell’altro comune altrettanto innominabile. (Esso e i suoi governanti, anche in questo caso).
Trovo nel web descrizioni abbastanza precise sui luoghi dello spaccio dalle mie parti (dintorni della stazione ferroviaria, portici su piazza Risorgimento, piazza A. Torlonia). Chi mi segue, sa che capita anche a me di descrivere certe scenette, su questo blog. Si hanno delle rappresentazioni accurate appunto, ma soprattutto ripetute e solo per un centro marsicano, nel web. Ergo: Avezzano – a differenza del resto della Marsica – è una città di spacciatori e di viziosi. Stanno proprio così le cose, come sono rappresentate dai frequentatissimi e perfino autorevoli mass media locali? No, è sufficiente una sbirciata alla cronaca della carta stampata e ai dati che di quando in quando diffonde il Sert per rendersene conto. (Tutto ciò mi riporta alla memoria l’ex Babilonia della Marsica – Luco dei Marsi –, diventata improvvisamente virtuosa una volta conosciuto il risultato delle ultime Amministrative e immediatamente scomparsa dalle cronache).
Quando piove copiosamente da noi – ormai da anni –, si allagano il sottopasso di via don Minzoni e un brevissimo tratto di Tiburtina Valeria in direzione Celano: è un frutto dell’urbanizzazione recente e in fondo, è sufficiente aspettare che si asciughi l’acqua nel giro di qualche ora nel secondo caso. È tutto un chiedersi nel web, in casi simili: «Che dice Gianni Di Pangrazio?». Cinque-sei anni fa, invece: «Che vuol fare Antonello Floris?». Niente da ridire. La val Roveto è una zona ecologicamente più fragile della piana del Fucino, eppure le popolazioni locali sono intervenute su quel territorio in modo più impattante rispetto a noi. In caso di «bombe d’acqua» si scatena il finimondo da quelle parti, ma è data in pasto all’opinione pubblica l’idea della disgrazia, della fatalità. «È una disgrazia»: ci deve pensare lo Stato – con cifre a molti zeri.

1978. Lessi in un servizio riguardante il Fucino, apparso su una testata nazionale nel periodo 1949-51, che la mia città era anche sporca. Una grassa risata e via: che cosa d’altro poteva notare un redattore in missione nelle nostre parti, proveniente casomai da Lucca, Pavia, Cuneo o addirittura Trento? Ho incrociato lo stesso concetto associato ancora (questa volta solo) ad Avezzano anni addietro su una testata locale da parte di un redattore sicuramente marsicano, ma mi ha lasciato indifferente. Negli ultimi giorni l’indifferenza di allora si è tramutata in rabbia.

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