martedì 2 febbraio 2016

/Classer

La vicenda dell’isola pedonale ha chiarito all’improvviso che cosa mi ha portato a evitare da decenni d’incrociare i compaesani e i corregionali alle urne. (‘don’t think twice it’s all right’).
Ho scritto tempo fa: «L’isola pedonale fa parte anch’essa del repertorio della città europea, in qualche modo da quarant’anni» – Dimenticare-Vergessen, 2014. Non si trattava di un saggio, una petizione, un post o un commento su una testata online bensì di una semplice nota. Non si trattava di una novità o almeno di una mezza-novità, si sapeva già. L’isola pedonale è un tema collettivo, per quanto può sembrare strano a chi non legge di temi architettonici e urbanistici: basta aggiungere un segnale al suo inizio per attuarne una, a differenza di una basilica o di un auditorio che richiedono spazio e quattrini a palate. Mezzo metro quadrato d’alluminio.  (È bene aggiungere che nessuno obbliga la sua realizzazione allo stesso modo del medico che prescrive a un paese di costruire una nuova chiesa o del confessore che minaccia le fiamme dell’inferno al sindaco perché manca una pinacoteca in città o del prefetto che intima all’assessore alla Cultura di costruire un teatro, altrimenti. Gli avezzanesi sono stati novant’anni senza Teatro dei Marsi e hanno tirato avanti ugualmente.)
Ho seguito tra l’impotente e l’annoiato, la diatriba dei giorni passati per via del browser che non mi permetteva di pubblicare, ma non avevo in realtà voglia d’intervenire. C’era bisogno di qualcuno che chiedesse a un qualsiasi personaggio intervenuto attraverso i mass media sull’argomento: «Che cos’è un’isola pedonale?». Egli non avrebbe ottenuto alcuna risposta, perché chi ne ha parlato nelle ultime settimane, lo ignora semplicemente in senso tecnico; non si conosce neppure il nome dell’oggetto in questione: è in voga da queste parti la locuzione «isola pedonale permanente», da anni. (Gli avezzanesi d’altra parte, non conoscono neppure il nome della loro via principale, come ho già raccontato altrove).

Su tale ignoranza s’imbastiscono discorsi, alterchi e ricatti da almeno vent’anni, tra noi.

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