lunedì 18 settembre 2017

But some stupid with a flare gun

Giorni fa ho parlato della «politica» da noi ancora in vacanza, mentre a livello regionale si pensava già alle Politiche dell’anno prossimo. Ho parlato giusto en passant dei numerosi roghi in Abruzzo – anche se ho qualche parente che abita di fronte al monte Morrone.
Sono stati i governanti regionali a fabbricare la narrazione da cui sono poi fiorite espressioni come: «una regia unica» a proposito dei vari incendi innescati da persone esperte e che conoscono bene le zone in cui agiscono, la richiesta di una «commissione parlamentare d’inchiesta», addirittura della «commissione Antimafia». In molti hanno purtroppo suonato o improvvisato su questo spartito; io vedo la situazione in modo diverso.
Per cominciare. Negli ultimi nove, 10mila anni gli uomini hanno bruciato gli alberi per ricavare dello spazio utile (pascolo, agricoltura, città). Sono cambiate un po’ le cose da allora, ai nostri giorni: s’incendiano i boschi anche per altri motivi.
È in auge da decenni l’espressione «stagione degli incendi» ed è perciò almeno fuorviante scrivere com’è successo in Abruzzo, di emergenza, piano preordinato, terrorismo, rete di delinquenti, eccetera. WWF Abruzzo parla di una media di 7,4 incendi nei boschi al mese durante il 2016. (Legambiente ha ricavato che solo il 60% dei roghi in Italia è di natura dolosa). I motivi di chi appicca gli incendi, sono diversi tra loro. (Le forze dell’ordine pizzicano di quando in quando qualche sparuto piromane privo di qualsiasi rapporto con «colleghi» di un altro comprensorio, di un’altra regione). È perciò risibile oltre all’idea del grande complotto anche il presunto attacco allo Stato: è sufficiente confrontare il numero dei corregionali impegnati in attività armate a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta con quello dei possibili piromani di quest’estate – non più di uno per ciascun incendio, per carità. (Ve ne sono stati 216).
Vengo adesso alle «mani esperte» che incendiano o alle cosiddette tecniche raffinate impiegate. Come si fa in realtà? Non si brucia certo un albero alla volta, ma si danno alle fiamme il sottobosco che però collega tutta la vegetazione di una zona; non ci vuole molta intelligenza per capirlo ma è sufficiente entrare in un bosco una sola volta quando non c’è neve. (Per qualcuno può essere un problema far ardere tutto nel più breve tempo possibile). Qual è il periodo dell’anno più proficuo per la «fabbrica del fuoco»? Il profilo dell’incendiario che è stato tracciato in quest’occasione è talmente minuzioso da essere inutilizzabile: nasconde più che illuminare.
A tanto allarmismo nei primi giorni è seguito l’attuale silenzio di tomba. Si può incendiare una montagna per far avviare un cantiere di rimboschimento, per bloccare una zona edificabile (quindici anni), per ricavare una zona adatta al pascolo, come vendetta contro un divieto di caccia negato, per un semplice sfregio a un parco (Cfr.: monte Salviano 1993) e altro. Il fuoco sembra essere divenuto negli ultimi anni uno strumento di pressione impiegato in modo agevole da soggetti diversi – secondo me il punto è proprio questo. (Di là del fatto che in alcuni casi chi dichiara la guerra poi vuol fare anche la pace, nel senso: accordarsi). Bisogna perciò devastare questo intreccio di rapporti perversi tra singoli, gruppi e parti dello Stato – nelle varie combinazioni. (Un sacco di persone). Non è un gioco da ragazzi ma soprattutto: si fa in tanti, è un fatto collettivo.

Si tratta nell’immediato di valutare i singoli casi da parte della magistratura e non fare di tutta l’erba, un fascio com’è avvenuto presso il mondo della politica e di riflesso, in buona parte dei mezzi d’informazione; non si può fare il pesce in barile per 364 giorni l’anno e poi ci si riveste nel ruolo della sentinella della democrazia. (Mi chiedo: perché non avviare da parte della Regione almeno degli interventi capaci di prevenire alcuni tipi di rogo nei nostri boschi?)

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