lunedì 20 gennaio 2020

D4

Passo costantemente intorno a piazza del Mercato nelle mie passeggiate e quel cantiere mi ha fatto capire un paio di cose. (La prima). Ho compreso che il progetto appoggiato da Di Pangrazio – una nuova pavimentazione – avrebbe prodotto la stessa situazione che abbiamo oggi sotto gli occhi se attuato; per realizzarla sarebbe stato, infatti, necessario uno scavo che avrebbe talmente maltrattato le radici dei restanti quattro alberi – sugli otto di allora –, da doverli abbattere. È anche facile chiedersi: chi è quell’impresario disposto a costruire dei tratti di un pavimento secondo pendenze diverse? (La seconda). Piazza del Mercato una volta tirata giù la cortina di fogliame che circondava la zona più interna su due lati, ha lasciato apparire quel luogo per quello che è: uno spazio dalla scarsa qualità architettonica. È repertorio da periferia, non da Quadrilatero. Mancano purtroppo edifici e facciate di un certo pregio e altezza a costituire quello spazio; il lato nord doveva racchiudere maggiormente. Non sono stato io, l’unico a ricevere questa poco gradevole sensazione di povertà o almeno di mediocrità […]

Dopo l’abbattimento degli alberi rimanenti sul lato nord di piazza Risorgimento, più di uno si accorse che quel posto era meno ricco, denso di quanto lo aveva pensato per decenni. Era necessario un tema collettivo (teatro, biblioteca, tribunale, ecc.) o un piano in più per far meglio leggere quella piazza dalle dimensioni poco ortodosse per l’Italia, ma si misero in mezzo – per ciò che concerne le altezze – le leggi del Regno da rispettare in quel periodo: non più di due. Vi fu gente contraria al taglio delle piante, anche in quell’occasione, per respingere in toto il restyling. Tutto partì da chi temeva sia che i locali commerciali acquistati in quella zona scendessero nel loro valore immobiliare sia una riduzione del loro potere decisionale sul marciapiede e perfino sulla carreggiata davanti al proprio negozio – considerato privato per consuetudine. Il centro-centro è imbalsamato da decenni essenzialmente per questioni legate alla rendita, più che al lavoro, all’imprenditoria. Sono perciò delle pose ideologiche, la paura del nuovo e il provincialismo esibiti, sfoderare il recente ambientalismo da operetta – saggiato, per la prima volta, contro il restyling di piazza A. Torlonia. Era contraria anche Confcommercio che dichiarava «isola pedonale» la parte superiore del progetto. (Nel senso: quella lì basta e avanza). Fu il debutto della fallace equazione Architettura = Botanica o meglio, Giardinaggio. […]

Mi è parso bizzarro che qualche connazionale contemporaneo anziché utilizzare che so, gli affreschi della Cappella Sistina (1508-12 e 1535-41), Le quattro stagioni (1725), I promessi sposi (1827), Lettera 22 (1950), per costruire la propria identità, l’abbia invece ancorata a degli esseri viventi – di là della loro particolare intelligenza. (4/5)

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