mercoledì 22 gennaio 2020

D5

Può succedere che una scelta, un progetto di un’amministrazione comunale, sia contestato. Nel nostro caso, un sindaco ha proposto di rivitalizzare un pezzo del centro, perché abbandonato da anni: è una buona idea o è pessima? La prima, senza dubbio. Si poteva perciò attaccare De Angelis per il progetto caldeggiato perché esso era poco congruente o addirittura, contraddittorio con l’obiettivo che si poneva. L’esperienza mostra che simili interventi sono da valutare solo dopo la loro realizzazione: i cittadini sanciranno con la loro frequentazione, l’utilità e il successo di un restyling o di una nuova struttura. […] Bisogna aspettare almeno che chiuda il cantiere, poi si vedrà – procedono molto a rilento i lavori.
C’era spazio per una qualche mediazione tra le «parti»? No, per un paio di motivi. 1) Evocare un elettrodomestico a proposito di una copertura trasparente e «deforestazione» per una sostituzione di essenze blocca, di fatto, il dialogo con un qualsiasi ente pubblico – è diverso al bar, tra amici, in piazza, Facebook, allo stadio, in una testata giornalistica trash. 2) La giunta De Angelis voleva recidere sette alberi e piantarne undici; c’è chi, invece, voleva proprio, solo quei sette perché gli ricordavano qualcosa d’importante della propria vita. (Non c’erano due vere parti, perché una di esse era rappresentata da un commissario prefettizio).

La memoria di qualcuno voleva prevalere su quella di molti altri. Io sono nato nei paraggi; quel luogo era una meta delle mie prime camminate e l’ho frequentato fino alle elementari, eppure ho messo da parte nostalgie di sorta, di fronte all’ipotesi di un qualsiasi restyling. Le città cambiano incessantemente; restano al loro posto giusto i tracciati principali, qualche piazza, un giardino storico e alcuni edifici (pubblici, privati) che la collettività ritiene importanti, di volta in volta. […] Mi spiego meglio. La nuova Avezzano ha un secolo di vita: che fine ha fatto, tutte le abitazioni costruite negli anni Venti? Tutte quelle fabbricate negli anni Trenta, invece? […]
Il restyling non interesserà la vecchia canalina di scolo di pietra, prossima all’edificio in muratura; domanda: che ci faceva in quel posto, da sola? (Era di là da venire l’invenzione italiana dell’«incompiuta»). Quante volte è cambiato quel posto in nemmeno mezzo secolo al punto che anche chi ci vive, dimostra di non averne contezza? Vi sono stati degli ammodernamenti, aggiustamenti perché dettati dalle nuove esigenze dei compaesani che si sono avvicendati per due, tre generazioni. Gli stessi smemorati contestatori temono addirittura di non riuscire a orientarsi, ad avere crisi d’identità se casomai dovessero ritrovarsi sotto la tettoia trasparente, circondati da ben undici Prunus.

Questa vicenda di mezza estate è stata per me illuminante perché mi ha fatto comprendere come gli avezzanesi di una volta, a differenza di una buona quota di quelli ai nostri giorni, accettavano i cambiamenti purchessia, probabilmente perché cresciuti in una città nuova di zecca, nel secondo dopoguerra e per aver vissuto il boom economico negli anni Sessanta. (Non nego che dietro ci sia una sorta di damnatio memoriae nei confronti di Gabriele De Angelis: bisognava cancellare ogni realizzazione, traccia del sindaco caduto malamente per uno sgambetto della sua maggioranza). S’intravede, nel nostro caso, anche della nostalgia da parte degli indignati per una recentissima Età dell’oro che non c’è mai stata; è mancato agli stessi un progetto da contrapporre per quella piazza, una mezza idea per il futuro di quell’area. […] (5/5)

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