Può succedere che una scelta, un
progetto di un’amministrazione comunale, sia contestato. Nel nostro caso, un
sindaco ha proposto di rivitalizzare un pezzo del centro, perché abbandonato da
anni: è una buona idea o è pessima? La prima, senza dubbio. Si poteva perciò
attaccare De Angelis per il progetto caldeggiato perché esso era poco
congruente o addirittura, contraddittorio con l’obiettivo che si poneva.
L’esperienza mostra che simili interventi sono da valutare solo dopo la loro
realizzazione: i cittadini sanciranno con la loro frequentazione, l’utilità e
il successo di un restyling o di una
nuova struttura. […] Bisogna aspettare almeno che chiuda il cantiere, poi si
vedrà – procedono molto a rilento i lavori.
C’era spazio per una qualche mediazione
tra le «parti»? No, per un paio di motivi. 1) Evocare un elettrodomestico a
proposito di una copertura trasparente e «deforestazione» per una sostituzione
di essenze blocca, di fatto, il dialogo con un qualsiasi ente pubblico – è
diverso al bar, tra amici, in piazza, Facebook, allo stadio, in una testata
giornalistica trash. 2) La giunta De
Angelis voleva recidere sette alberi e piantarne undici; c’è chi, invece,
voleva proprio, solo quei sette perché gli ricordavano qualcosa d’importante della
propria vita. (Non c’erano due vere parti, perché una di esse era rappresentata
da un commissario prefettizio).
La memoria di qualcuno voleva prevalere
su quella di molti altri. Io sono nato nei paraggi; quel luogo era una meta
delle mie prime camminate e l’ho frequentato fino alle elementari, eppure ho
messo da parte nostalgie di sorta, di fronte all’ipotesi di un qualsiasi restyling. Le città cambiano
incessantemente; restano al loro posto giusto i tracciati principali, qualche
piazza, un giardino storico e alcuni edifici (pubblici, privati) che la
collettività ritiene importanti, di volta in volta. […] Mi spiego meglio. La
nuova Avezzano ha un secolo di vita: che fine ha fatto, tutte le abitazioni
costruite negli anni Venti? Tutte quelle fabbricate negli anni Trenta, invece?
[…]
Il restyling
non interesserà la vecchia canalina di scolo di pietra, prossima all’edificio
in muratura; domanda: che ci faceva in quel posto, da sola? (Era di là da
venire l’invenzione italiana dell’«incompiuta»). Quante volte è cambiato quel
posto in nemmeno mezzo secolo al punto che anche chi ci vive, dimostra di non
averne contezza? Vi sono stati degli ammodernamenti, aggiustamenti perché
dettati dalle nuove esigenze dei compaesani che si sono avvicendati per due,
tre generazioni. Gli stessi smemorati contestatori temono addirittura di non
riuscire a orientarsi, ad avere crisi d’identità se casomai dovessero
ritrovarsi sotto la tettoia trasparente, circondati da ben undici Prunus.
Questa vicenda di mezza estate è stata
per me illuminante perché mi ha fatto comprendere come gli avezzanesi di una
volta, a differenza di una buona quota di quelli ai nostri giorni, accettavano
i cambiamenti purchessia, probabilmente perché cresciuti in una città nuova di
zecca, nel secondo dopoguerra e per aver vissuto il boom economico negli anni Sessanta. (Non nego che dietro ci sia una
sorta di damnatio memoriae nei
confronti di Gabriele De Angelis: bisognava cancellare ogni realizzazione,
traccia del sindaco caduto malamente per uno sgambetto della sua maggioranza).
S’intravede, nel nostro caso, anche della nostalgia da parte degli indignati
per una recentissima Età dell’oro che non c’è mai stata; è mancato agli stessi
un progetto da contrapporre per quella piazza, una mezza idea per il futuro di
quell’area. […] (5/5)
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